Essere un leader efficace

Pubblicato il 09/10/2019

Voglio affrontare questo argomento da un punto di vista pratico, che possa aiutare le persone che si accingono a gestire piccoli o grandi gruppi a fare delle considerazioni utili a migliorare la propria attitudine alla leadership.

Essere leader significa, in primo luogo, assumersi una responsabilità nei confronti degli altri componenti del gruppo.

Responsabilità, tuttavia, non deve essere una parola vuota. Per me, equivale ad avere consapevolezza, ad esempio, dei seguenti elementi:

  • dei propri punti di forza, gli elementi che dobbiamo trasmettere agli altri (metodi, strumenti, conoscenze, esperienze, sicurezze, ...) per far funzionare il gruppo;
  • dei propri punti di debolezza, i limiti che sarebbe velleitario oltrepassare (non dobbiamo far finta di essere chi non siamo, piuttosto dobbiamo sfruttare tutte le nostre attitudini affinché il gruppo colga gli obiettivi condivisi);
  • delle competenze e delle attitudini di ogni componente del gruppo, per rispettare le personalità di ognuno e far leva sui loro punti di forza (dobbiamo fare perno su ciò che il singolo può dare al gruppo, senza infrangere la sua zona di "confort");
  • della disponibilità che è necessario esercitare nei confronti di tutti i componenti, per aiutare ciascuno ad esprimere il meglio che può dare e contribuire all'impresa che, insieme agli altri, è chiamato a compiere (leader come mediatore, conduttore, esempio per gli altri, sostenitore, ...);
  • del percorso, degli obiettivi, degli strumenti per agevolare la collaborazione di tutti, nessuno escluso (il team avanza con il passo del più lento, se qualcuno rimane indietro occorre recuperarlo e metterlo in pari).

Recentemente ho visto su diversi canali social, compreso LinkedIn, riferimenti e post che richiamavano una foto molto evocativa del gruppo e della leadership, utilizzata per far comprendere chi fosse il leader e come dovesse comportarsi.

Essere un leader efficace

Sono incappato in una interpretazione dell'immagine che non mi convinceva: sosteneva che il leader fosse l'ultimo della fila perché doveva controllare tutti e assicurarsi che il branco non fosse in pericolo. Davanti al gruppo dovevano esserci gli anziani, i più saggi, che avevano il compito di imporre il passo al gruppo e conoscevano la direzione da prendere per la loro esperienza. Questi aspetti etologici erano stati trasposti sulla dinamica dei gruppi di lavoro, adducendo che il leader non serve che sia davanti, a volte è meglio che si faccia da parte per lasciare ad ognuno il suo ruolo: io la vedo in modo diverso.

Questa trasposizione non mi sembrava realistica, né dal punto di vista etologico, né dal punto di vista della gestione di un gruppo; l'interpretazione era stata stravolta per "calzare" la tesi dello scrivente di turno e raccontava una situazione molto suggestiva e condivisibile. In realtà ho trovato il riferimento all'articolo originale, pubblicato dalla BBC, nel quale la spiegazione è ben diversa ed è coerente con il concetto di responsabilità che il leader si deve assumere.

Il leader, che nel caso dei lupi in foto è la femmina capo branco, è IN TESTA a tutti.

Questo è ciò che un vero leader deve fare, deve guidare (to lead) il gruppo attraverso le difficoltà che la loro impresa si è impegnata a portare a termine. I 25 lupi dell'immagine sono in fila indiana, nella neve, per risparmiare le energie complessive del branco e stanno intraprendendo una battuta di caccia nel Wood Buffalo National Park in Canada. La capo branco è davanti, dove è più difficile avanzare, per dare l'esempio, spronare il branco e per verificare la situazione e decidere la strategia di caccia migliore che possa far leva sulle caratteristiche di tutti i componenti del branco.

Leader si nasce, esperti si diventa.

Con ciò non voglio dire che la leadership è incisa nel DNA di una persona. E' un mestiere che si può apprendere e che si deve esercitare con costanza e con attenzione. L'esperienza non può arrivare che con il tempo.

Dopo una buona preparazione teorica e pratica in ambiente "controllato" (esercitazioni e simulazioni didattiche), bisogna assumere la gestione di un team il prima possibile ed essere affiancati da un coach che possa indicare gli errori, suggerire le modalità per correggerli e, soprattutto, sottolineare i comportamenti virtuosi che si sono messi in atto.

Il punto di partenza resta comunque la formazione delle competenze necessarie alla composizione e gestione di un team efficace.

Fra queste, secondo me, ci sono:

  • capire quali attitudini servono all'interno di un gruppo di lavoro (non solo tecnici esperti o analisti, ma anche figure "soft", di coordinamento e di azione, altrimenti il team si blocca, resta immobile e può entrare in un conflitto permanente);
  • individuare, selezionare e motivare le persone che entrano a far parte del team (l'esperienza maturata da ogni componente è fondamentale per il perseguimento degli obiettivi, tuttavia, a volte avere un "novellino" in squadra apporta quella voce fuori dal contesto che stimola contraddittori e idee produttive rompendo gli schemi logici ai quali il gruppo rischia di conformarsi);
  • interpretare le dinamiche di coordinamento reciproco che si evolvono nella storia del gruppo, (all'inizio si è soliti essere formali, gentili e cordiali - di solito al primo incontro, ma già dal successivo si rischia grosso!) per applicare le contromisure più idonee ad individuare e gestire i "conflitti" (con la consapevolezza che, inevitabilmente, questi si presenteranno in più di un'occasione);
  • pianificare il lavoro in modo da essere preparati in tutti gli incontri di coordinamento e condividere il piano in modo mantenere la confidenza dei partecipanti (il leader gioca a carte scoperte con il suo gruppo: è il miglior modo per farsi seguire nel percorso che ha deciso di intraprendere);
  • delegare e distribuire il lavoro fra tutti i componenti, pur mantenendo il controllo dell'avanzamento del lavoro (partecipazione è una parola chiave per aumentare le probabilità di riuscita dell'impresa, ad ogni tappa il leader mette in campo le competenze e le attitudini di tutti per proseguire spediti);
  • assumere il ruolo di portavoce del gruppo nei confronti dei decisori e dei superiori per i risultati raggiunti, siano essi in linea con le aspettative o, soprattutto, quando non rispecchiano gli obiettivi prefissati (il leader è responsabile della condotta del gruppo e deve sempre difendere l'operato di ogni componente);
  • comunicare i successi, riconoscendo il contributo dei singoli componenti (i risultati sono frutto del lavoro di tutti e il leader fa in modo che ogni persona possa dichiarare quale valore abbia portato all'impresa);
  • imparare dagli insuccessi (un team che manca gli obiettivi ha avuto un leader che non lo ha condotto sulla buona strada del successo).

Questi elementi sono gli ingredienti per far nascere un nuovo leader. L'esperienza che si matura nella conduzione di diversi gruppi di lavoro affina le capacità del leader e lo rende il vero punto di riferimento su cui il team può e deve contare.

E' un mestiere affascinante che può manifestarsi in moltissime occasioni. Personalmente, tento di applicare questi principi anche in contesti diversamente professionali quale, ad esempio, la gestione di gruppi di bambini e/o ragazzi: se non fai in fretta a ritagliarti il ruolo di leader, sei fregato e il tuo ruolo di "adulto" / genitore vale solo per il primo incontro.

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